A sinistra, la Venere venuta alla luce all’inizio
di quest’anno nell’area archeologica dell’antica Lilybeo. Colpisce la
straordinaria somiglianza con la Venere Landolina (copia romana di un originale rodio-asiatico)
conservata a Siracusa
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Mentre
l’antica Lilybeo, la magnifica civitas
ciceroniana, aspetta d’esser riportata alla luce con le sue ville, i suoi
palazzi, le strade e le piazze, il mondo accademico continua a
“corteggiare” la splendida Venere venuta fuori all’inizio di quest’anno dai
quattro ettari dell’area archeologica di Marsala - una delle più
significative e importanti dei paesi del Mediterraneo - che “assicura” di
tenere ben in serbo tutti gli altri suoi “tesori nascosti” dell’età aurea
di Roma antica. E in realtà la speranza è diventata quasi una certezza a
giudicare dall’impazienza per la ripresa dei lavori di scavo, già
finanziati dall’Assessorato regionale ai Beni Culturali con più di un
milione di euro e previsti per prima dell’estate. La campagna, coordinata
dall’archeologa Rossella Giglio della Soprintenza trapanese ai Beni
Culturali, punterà a riportare alla luce la Lilybeo di Cicerone - questore
per tre anni della città siciliana - miracolosamente salvata dall’espan-sionismo
urbano. E a osservare il primo reperto venuto in superficie, sembra proprio
che ci attenderà una lunga serie di sorpese.
Ma scopriamola questa statua di donna,
questa venere che ha riacceso in noi la speranza di vedere e toccare con mano
il mondo per molti versi anche affascinante dell’antica Roma, di Roma
dell’Impero. La statua ritrovata è
acefala e presenta lacune in corrispondenza
degli arti superiori ed inferiori; essa misura poco più di 100 cm ma originariamente raggiungeva l’altezza di 170 cm. Sul panneggio
anteriore della statua sono visibili le tracce di due dita di una delle
mani mancanti mentre, sotto la superficie del panneggio posteriore delle
vesti, l’artista ha sfumato la posa del personaggio scolpendo un gluteo in
evidente contrazione, immortalando la donna nell’attimo incipiente del
muovere un passo in avanti.
La vasta letteratura scientifica sulla
rappresentazione della figura umana presso i Greci suggerisce che la statua
raffiguri il tipo della c.d. figura
femminile al bagno. La figura femminile ritratta in posa di bagnante,
per l’avvenenza delle forme nude ed opulente, non raffigura certamente una
fanciulla ancora acerba bensì una donna. Dopo attenta analisi della figura
è possibile annotare che l’artista, nel plasmare la statua, ha subito
l’influenza del gusto artistico di età ellenistica: epoca della
introspezione psicologica dei personaggi che erano effigiati. Ricordiamo
che la ritrattistica di periodo ellenistico ci ha tramandato volti di
filosofi e di storiografi del mondo antico con l’intento non di raccontarne
la vita per celebrarne terrene virtù eroiche, come accadrà nella Roma
repubblicana ed imperiale, ma di comunicarne la psicologia, di svelarne
all’osservatore i meandri della personalità. Esperimenti di questa
espressione artistica sono le raffigurazioni dei “tipi” umani come la
vecchia, il pugile, il fanciullo e altri ancora.
Lo scultore della statua in esame non
vuole raffigurare una donna mentre fa il bagno, ma ne vuole cogliere
un’espressione precisa e momentanea. La posa della figura ritratta non è
naturale e rilassata: è la reazione istintiva della donna pudica senza
veli, sorpresa in un momento di intimità e profonda riservatezza.
Uno dei più noti esemplari che
traggono ispirazione da questo tema iconografico è quello della c.d. Afrodite Callipige di Siracusa,
universalmente nota come Venere
Landolina. Quest’ultima è stata rinvenuta nel gennaio del 1804 in una nicchia del ninfeo del Giardino Buonavia di
Siracusa e ritrae la dea nella stessa posa in cui è raffigurata la figura femminile rinvenuta a Lilybeo.
Pare pertanto evidente che la statua rinvenuta a
Lilybeo raffiguri la dea Afrodite,
sulla base dei confronti proposti. La lettura artistica della statua si arricchisce
però di un ulteriore elemento di analisi stilistica. Altra caratteristica
peculiare dell’arte di periodo ellenistico è la emblematicità paradossale e
iperbolica degli atteggiamenti dei personaggi ritratti. L’atteggiamento
della figura femminile al bagno è universalmente noto in tutto il mondo
greco. La rappresentazione della dea dell’Amore, in posa di giovinetta
appare dunque un accostamento che contrasta con il tipo della fanciulla
definita pudica perchè ancora non conosce uomo. La morbidezza del dorso e
le curve del corpo ritratto fanno risaltare la provocante femminilità di
Afrodite che, in quanto dea dell’Amore, non può certo definirsi un’ine-
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sperta
e pudica fanciulla. Proprio il ritrarre la dea in un atteggiamento intermedio
tra il finto pudore fanciullesco e la sensualità invereconda che le
appartiene, permette all’artista di esprimere una giocosa provocazione
attraverso una paradossale fusione e un accostamento di immagini mentali
opposte tra loro (il tipo della fanciulla e quello della provocante dea
Afrodite) raggiungendo un tono di straordinaria maestria attraverso la
diffusa sperimentazione artistica ellenistica.
Datazione
Per quanto riguarda la datazione è
necessario fare alcune premesse. La statua della Afrodite detta Landolina, dal nome del suo
scopritore Saverio Landolina e conservata oggi presso il Museo Archeologico
di Siracusa, è una copia romana di un originale rodio-asiatico del II sec.
a.C. L’area geografica di provenienza dell’originale, a noi non pervenuto,
è pertanto la stessa in cui venne elaborato il mito della dea.
L’ellenismo in Sicilia riveste un
ruolo fondamentale per la Storia dell’arte antica, in quanto esso funge da
tramite tra la classicità greca e l’età imperiale romana. In Sicilia
l’Ellenismo non si conclude tradizionalmente con la battaglia di Azio, nel
momento in cui l’Egitto ellenistico cedette il passo alla dominazione
romana, ma quando sul finire del III sec. a.C. il console M.Valerio Levino
dispose il nuovo status giuridico delle città siceliote. Il decentramento
della Sicilia rispetto all’Impero romano permise all’Isola di conservare a
lungo le caratteristiche culturali ascrivibili alla koinè greca.
La vita culturale di matrice greca e
la magnificenza della città di Siracusa ispirò il “trasferimento” di
numerose opere d’arte che presero la via di Roma. Tito Livio nelle Historie (XXV 40, 1-3) parla del
noto initium mirandi graecorum artium
opera che è alla base della diffusione a Roma della cultura ispirata al
pensiero greco. Protagonista assoluta della trasmissione della cultura
greca in Occidente in seno all’Impero romano è la Sicilia.
Se il II secolo a.C. vide il definitivo tracollo
della grecità attiva in Sicilia, dalla seconda metà del II sec. a.C. e nel
I sec. a.C. sanguinose guerre servili e lotte per il controllo del potere
centrale permettono di riscontrare un’alta qualità della vita solo in poche
città della parte orientale della Sicilia come a Siracusa.
La cultura ellenistica del tempo,
dunque, fu caratterizzata non da committenza pubblica ma da quella privata,
che fu l’unica capace di permettersi lussi ed opulenza nel vestire e
nell’abitare, in un’epoca segnata da crisi pesante e disastrosa in tutta la
Sicilia. La caratteristica della scultura in epoca ellenistica è quella di
essere destinata ad adornare edifici pubblici, privati e di culto.
L’analisi stilistica e le ipotesi sulla destinazione delle statue permette
di suddividere questi pregevoli manufatti in due gruppi:
1)
gli originali ellenistici realizzati in Sicilia o destinati al mercato
della committenza siciliana, da cui si elaborarono poi le copie romane;
2)
le sculture ellenistiche note in Sicilia, replicate in periodo romano per
la committenza siciliana e che a noi sono pervenute.
Le peculiarità stilistiche delle opere
d’arte richiamano le correnti artistiche dei centri micro-asiatici ed
insulari con sfumature tendenti al c.d. barocco
ellenistico. Nelle dinamiche storiche delle
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ARCHEOLOGIA Marsala si
prepara a scoprire
i “tesori nascosti” dell’antica Lilybeo dopo l’eccezionale ritrovamento in gennaio della
Venere
Il risveglio di Afrodite
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vicende
umane non si è mai verificato alcun cambiamento repentino ed automatico in
seguito ad un rivolgimento politico: la romanizzazione della Sicilia non
cancellò di fatto la cultura greca dell’Isola. La produzione artistica
siciliana di fase ellenistica manifesta ancora la presenza di tradizioni
artistiche sia ellenistiche che rodie; esse hanno influito per lungo tempo
e in modo particolare sulla produzione artistico-industriale della Sicilia.
È dunque la committenza privata in questa fase che fornisce agli archeologi
dati utili per la ricostruzione storica.
Il recente rinvenimento a Lilybeo
manifesta ancora una volta come la cultura greco-ellenistica, dopo essere
stata filtrata dalla tradizione culturale ellenistica della Sicilia, abbia
permeato la Roma Imperiale. La tradizione artistico-culturale ellenistica
ebbe risonanza su tutta l’Italia centrale e, in seguito all’espansione
dell’Impero romano, in tutto il Mediterraneo.
Se l’Afrodite Landolina, a cui si è fatto subito riferimento in occasione del
rinvenimento della Afrodite marsalese, fosse la copia della famosa statua
di culto votata nel santuario di Afrodite, dopo l’esito della curiosa gara
tra le due sorelle, secondo l’aneddoto dei due giambografi poeti Kerkidas e
Archelaos di cui ci dà notizia Ateneo, allora la statua di Siracusa è una
copia del II sec. d.C., importata o eseguita direttamente a Siracusa e lavorata
a veduta diretta dell’originale rodio-asiatico, databile invece alla prima
metà del II sec. a.C. Il confronto diretto della Afrodite siracusana con
quella di Lilybeo permette agli archeologi di riferire cronologicamente le
due opere allo stesso periodo storico: il II sec. d.C.
La storia della statua: dalle
mani dell’artista alle mani dell’archeologo
Qualora la statua raffiguri realmente
Afrodite, la fonte nei pressi della quale è stata ritrovata la statua
potrebbe riferirsi all’espletamento di culti in occasione delle liturgie
sacre dedicate alla stessa divinità (c.d. uso primario ovvero prima giacitura della statua).
La statua è stata poi utilizzata in
periodo medievale come materiale da costruzione per l’alzato di un muro (uso secondario ovvero seconda
giacitura). Il ritrovamento da parte degli archeologi è stato reso
possibile durante l’asportazione di un piano pavimentale in terra battuta,
databile all’epoca medievale, che accerta per la statua l’uso terziario di riempimento (ovvero terza giacitura). Lo scopo del riempimento era la creazione di una fondazione per una
superficie pavimentale.
Il riutilizzo dei monumenti e delle
opere d’arte dell’antichità per il ricavo di materiale da costruzione fu
molto diffusa dopo la caduta dell’impero Romano. Ne abbiamo esempi
emblematici come nel caso della creazione del baldacchino della Basilica di
S.Pietro in Vaticano, plasmato con il bronzo ricavato dalla fusione delle
statue del Pantheon, che effigiavano gli imperatori romani, e il c.d. Colosseo,
divenuto nel Medioevo una cava di
pietra a cielo aperto, di cui oggi rimane un monumento lacero ma dal
fascino ancora intatto. La comunità scientifica attende il proseguimento
degli scavi e la messa in luce dell’antica Lilybeo, la splendida città fondata
da indigeni di Sicilia e dai Fenici superstiti dell’incendio e della
distruzione di Motya, avvenute nel 397 a.C. ad opera di Dionigi il Vecchio, tiranno di
Siracusa. A Marsala affiorano oggi i resti di tracciati urbani, di
necropoli, di mura difensive dell’antico centro di Lilybeo; essi
testimoniano che la città antica non è ancora morta. Essa vive sotto la
moderna cementificazione e attende di essere riscoperta per tornare a far
parlare di sé e raccontare la propria storia e le vicende dei suoi cittadini.
Giacomo Tabita
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