-
EDITORIALE Se il
Patrimonio Culturale diventa un business La Cappella Palatina di Palermo,
espressione tra le più eloquenti della magnifica sintesi culturale
realizzata in Sicilia da Federico II, è stata restituita agli splendori di
un tempo. I lavori di restauro, durati poco più di due anni e costati due
milioni e mezzo di euro, hanno ridato lustro ai meravigliosi mosaici dei
pavimenti e delle pareti, ai soffitti lignei, alle volte e alle vetrate.
Danneggiata dal terremoto del 2002, la splendida cappella - voluta dai Normanni all’interno del
Palazzo Reale, sede oggi dell’Assemblea Regionale Siciliana – è ritornata
alla sua originaria magnificenza grazie all’utilizzo di sofisticate
tecniche di restauro. Ma, soprattutto, grazie alle donazioni in denaro del
mecenate tedesco Reinhold Würth, amante della cultura e delle realizzazioni
federiciane. Il governo della regione Sicilia ha
talmente apprezzato il successo dell’iniziativa da proporre un coinvolgimento
sistematico di soggetti privati nella gestione del patrimonio dei Beni
Culturali siciliani. L’idea, lanciata sull’onda dell’entusiasmo, ha
lasciato un po’ perplessi accademici e addetti ai lavori. Se ne discuterà
con calma. Ma ci sia consentita, intanto, almeno una domanda: quanti veri
mecenati, come l’encomiabile signor Würth, saranno disinteressatamente
attratti dalle seduzioni dell’arte e dell’archeologia? E una
considerazione: non esiste, per definizione, investimento di capitali che
non preveda la realizzazione di un profitto. E far cassa con i beni
archeologici, artistici e architettonici potrebbe generare dei conflitti
con la prioritaria e imprescindibile necessità di tutela e conservazione
del Patrimonio Storico della regione.